I documenti

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articoli

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A Pellestrina c’è stato un tempo in cui per divertirsi alla domenica pomeriggio bastava uscire di casa e andare dal Cenci Perla, in sestiere Vianelli, per trovare intrattenimento e ristoro.

Leggi l’articolo di Giannarosa Vivian in «Diciassettesimo Premio Biennale “Murazzo” di poesia in dialetto veneto», 28 maggio 2016.

Passeggiando per Pellestrina, in sestiere Scarpa, nei pressi della chiesetta della Madonna della Carità − prima del cantiere navale ACTV, già De Poli −, noterai sulla banchina una targa commemorativa. Ricorda dal 2017, per volere della Comunità ebraica veneziana e della Municipalità di Lido e Pellestrina, un episodio di cui la memoria  isolana non  portava − solo apparentemente − traccia.

Da quel punto, nel novembre del 1947salpò clandestinamente la nave Kadima: 794 persone a bordo, donne e uomini europei, migranti illegali verso il futuro Stato di Israele.

Kadima era una nave da carico riadattata per passeggeri nel cantiere  vicino. Il nome originario era ‘Raffaelluccia’. Venne intercettata da aerei inglesi e poi obbligata da una corazzata a far rotta verso Haifa. In seguito, dopo qualche giorno passato in un campo di concentramento, i passeggeri furono caricati senza resistenza su un’altra nave, che li scortò nel campo di internamento inglese a Cipro. Di lì in seguito poterono, finalmente, raggiungere la loro meta.

Sulla vicenda e  sul contesto  drammatico in cui si inserisce  quello degli oltre venticinquemila profughi “clandestini del mare” sopravvissuti alla Shoah che tra il 1945 e il 1948 passarono sul suolo italiano in cerca di una nuova vita  potete leggere il testo gentilmente inviatoci da Marco Zanetti.

Leggi l’articolo di Marco Zanetti in «Mediterranea», n. 48, anno XVII, aprile 2020.

Archivio PM | Targa commemorativa della KadimaArchivio PM | Kadima

cognomi prevalenti a San Pietro in Volta sono due: Ballarin e Ghezzo. Loriano Ballarin ne analizza la presenza nel territorio, le origini, i ‘detti’ attraverso documenti dell’Archivio parrocchiale.

Leggi l’articolo di Loriano Ballarin in «Chioggia. Rivista di studi e ricerche», n. 47, ottobre 2015.

Il luogo è a noi noto: la laguna davanti al Porto di Malamocco. Anche il battello a togna ci è noto. Settecenteschi altri particolari: il pielego (imbarcazione), i degani (‘delegati’ in isola della Podestaria di Chioggia, di cui Pellestrina faceva parte), l’ira dei pescatori, armati di fiocine e schioppi.

Un interessante documento dell’Archivio di Stato di Venezia pubblicato dal nostro Loriano (Tiziano) Ballarin.

Leggi l’articolo di Loriano Ballarin in «Chioggia. Rivista di studi e ricerche», n. 45, ottobre 2014.

Un libro nel cestino della bici: nell’estate 2012 Giannarosa Vivian fa una gita a Ca’ Roman, l’oasi naturalistica all’estremità sud dell’isola di Pellestrina, usando come guida per la sua escursione una breve storia del villaggio marino sorto in una parte dell’area a inizio Novecento, pubblicata verso la fine degli anni Sessanta e praticamente introvabile. 

Leggi l’articolo di Giannarosa Vivian nel sito di storiAmestre.

Attraverso la lettura dei registri delle nascite dell’Archivio parrocchiale, incrociata con lo studio delle contemporanee ricerche demografiche, si ricostruisce l’intreccio tra attività della pesca, concepimento e nascite a San Pietro in Volta nel Seicento.

Leggi l’articolo di Miro Tasso, Gian Umberto Caravello e Loriano Ballarin in «Chioggia. Rivista di studi e ricerche», n. 33, ottobre 2008.

cognomi, così come li conosciamo, affondano le loro radici nel Medioevo. Lungi dall’essere stati strutture statiche e fissate irrevocabilmente, fino a tutto il ‘700 hanno goduto di ampia libertà: sono stati declinati a seconda del genere, soppiantati a favore di altri più consoni, nati ex novo.

Nell’isola di Pellestrina lo studio dei cognomi assume un significato particolare legato proprio all’insularità che, ieri come oggi, ha limitato e limita molto gli spostamenti di cose e persone. Lo studio dei cognomi in epoche passate offre, infatti, la possibilità di “fotografare” le comunità e di seguirne l’evoluzione.

La ricerca presentata, che deriva da uno studio condotto sui registri secenteschi della parrocchia di San Pietro in Volta, fa proprio questo: contribuisce a delineare una comunità del passato, offrendo alcuni elementi per comprenderne la sua evoluzione sino ad oggi.

Leggi l’articolo di Miro Tasso, Gian Umberto Caravello e Loriano Ballarin in «Rivista Italiana di Onomastica», vol. XIV, n. 1, 2008.

Come le altre isole del litorale veneziano, anche Pellestrina si caratterizzava, un tempo, per l’abbondanza di orti a gestione familiare, che assicuravano il sostentamento quotidiano della Dominante. Molti di coloro che hanno vissuto le trasformazioni urbanistiche a cavallo tra gli anni ’50 ed ’70 del secolo scorso ricorderanno – a volte con nostalgia – gli orti ordinati e tenacemente curati da instancabili ortolani capaci di far produrre a terre sferzate dal vento e intrise di salsedine una quantità straordinaria di primizie.

L’articolo che segue presenta il censimento degli ortolani residenti in Pellestrina nel 1763, documento conservato presso l’Archivio Antico di Chioggia. Pellestrina, infatti, fu parte integrante della Podestaria di Chioggia fino alla caduta della Serenissima: 115 persone per le quali è riportato il cognome e il soprannome. Quest’ultima particolarità rende davvero interessante il documento perché, oltre ad offrirci uno spaccato della società di Pellestrina alla fine del ‘700, offre lo spunto per ulteriori indagini sull’evoluzione delle famiglie e dei loro soprannomi.

Leggi l’articolo di Loriano Ballarin in «Chioggia. Rivista di studi e ricerche», 2007.

Attraverso la lettura dei registri matrimoniali dell’Archivio parrocchiale, assieme a notizie di carattere statistico-demografico, Loriano Ballarin ricostruisce il quadro delle modalità di celebrazione del matrimonio a San Pietro in Volta nel Seicento, caratterizzata dalla persistenza della presenza di due momenti distinti e separati cronologicamente: sponsali e nozze.

Leggi l’articolo di Loriano Ballarin in «Chioggia. Rivista di studi e ricerche», 31 ottobre 2007.

Documento (1175), Archivio di Stato di VeneziaGli archivi, a saperli interrogare, regalano sprazzi di vita pulsante, che popolano a ritroso nel tempo i luoghi nei quali viviamo, ricordandoci che la nostra vita − i nostri nomi, i nostri luoghi, le nostre abitudini, la nostra cultura − è la risultante di altre vite e altre storieTestimonianza preziosa di tutto questo è la tesi di laurea di Jacopo Berto, il cui titolo è Le pergamene di San Giorgio Maggiore relative a Pellestrina, 1201-1285 (relatore professor Marco Pozza, anno accademico 2003-2004).

Leggi il documento di Rossella Favero in «Dodicesimo Premio Biennale “Murazzo” di poesia in dialetto veneto», 20 maggio 2006.

Il recupero di rifiuti per la concimazione è un’antica tradizione nelle colture delle isole della laguna di Venezia.

Leggi l’articolo di Loriano Ballarin in «Fertilizzanti», n. 2, 2003.

All’inizio del 1797 Pellestrina fa parte della Repubblica ed è soggetta alla podesteria di Chioggia; dal 1806 è invece comune autonomo (e lo sarà fino al 1923).

Cosa è accaduto tra le due comunità di Chioggia e Pellestrina? Chi sono i ‘novatori’ di Pellestrina? E di quale abuso si sono macchiati?

Leggi il documento di Rossella Favero in «Settimo Premio Biennale “Murazzo” di poesia in dialetto veneto», 9 giugno 1996.

“Aspetti della società di Pellestrina nella seconda metà del XVIII secolo attraverso le carte della giustizia penale” è il titolo della tesi di Mariavittoria Tagliapietra. È la prima volta che un isolano si accosta ai documenti racchiusi nell’Archivio Antico di Chioggia per compilare la tesi di laurea.

Leggi il documento di Rossella Favero in «Settimo Premio Biennale “Murazzo” di poesia in dialetto veneto», 9 giugno 1996.

Quello che si propone qui è un duplice ‘assaggio’, sia della vita isolana nel Settecento che della ricchezza dei materiali che l’Archivio Antico di Chioggia racchiude.

Dalle scritture pubbliche (atti del Podestà, sentenze, proclami, ordini e divieti) filtra la vita in ogni suo aspetto: sociale, economico, religioso, anche personale. Si può misurare ciò che la storia ha spazzato via e ciò che caparbiamente permane, la ‘lunga durata’ di alcuni elementi, ancora costitutivi dell’identità della comunità.

Leggi il documento di Rossella Favero in «Sesto Premio Biennale “Murazzo” di poesia in dialetto veneto», 5 giugno 1994.

Blasone Veneto con leone rossoNel 1985 l’A.C.S. Murazzo di Pellestrina pubblicava la notizia del ritrovamento dello stemma di Pellestrina con un leone rosso rampante nel  Blasone Veneto, opera di Vincenzo Coronelli dell’inizio del Settecento.

Nel 1989, Nico e Mattia Sibour Vianello smentivano la notizia, e sottolineavano come la copia del Blasone Veneto, vista dallo storico dilettante pellestrinotto un po’ ingenuamente, fosse stata “abbellita” in epoca posteriore al Settecento da un miniaturista fantasiosoche aveva aggiunto allo stemma vuoto di Pellestrina il leone rosso. I fratelli Sibour aggiungevano: «Per altro, ben difficilmente Pellestrina avrebbe potuto possedere un’arma ai tempi della Serenissima, mancandole lo status giuridico per averne una propria».

Dunque, a quanto pare, Pellestrina, non avendo autonomia di podesteria, non aveva proprio stemma. Solo gli Austriaci, con Francesco Giuseppe, concessero all’isola lo stemma con i sestieri che tutti a Pellestrina  conoscono.

Leggi il documento di Naldino Scarpa Perla in «Secondo Premio Biennale “Murazzo” di poesia in dialetto veneto», 12 ottobre 1985.

Leggi l’articolo di Nico e Mattia Sibour Vianello in «Chioggia. Rivista di studi e ricerche», n. 3, 1989.

A Pellestrina c’è stato un tempo in cui per divertirsi alla domenica pomeriggio bastava uscire di casa e andare dal Cenci Perla, in sestiere Vianelli, per trovare intrattenimento e ristoro.

Leggi l’articolo di Giannarosa Vivian in «Diciassettesimo Premio Biennale “Murazzo” di poesia in dialetto veneto», 28 maggio 2016.

Se passeggiate per Pellestrina, in sestiere Scarpa, nei pressi della chiesetta della Madonna della Carità − prima del cantiere navale ACTV, già De Poli −, non mancate di dare un’occhiata, sulla banchina, a una targa commemorativa. Ricorda dal 2017, per volere della Comunità ebraica veneziana e della Municipalità di Lido e Pellestrina, un episodio di cui la memoria  isolana non  portava − solo apparentemente − traccia.

Da quel punto, nel novembre del 1947salpò clandestinamente la nave Kadima: 794 persone a bordo, donne e uomini europei, migranti illegali verso il futuro Stato di Israele.

Kadima era una nave da carico riadattata per passeggeri nel cantiere  vicino. Il nome originario era ‘Raffaelluccia’. Venne intercettata da aerei inglesi e poi obbligata da una corazzata a far rotta verso Haifa. In seguito, dopo qualche giorno passato in un campo di concentramento, i passeggeri furono caricati senza resistenza su un’altra nave, che li scortò nel campo di internamento inglese a Cipro. Di lì in seguito poterono, finalmente, raggiungere la loro meta.

Sulla vicenda e  sul contesto  drammatico in cui si inserisce  quello degli oltre venticinquemila profughi “clandestini del mare” sopravvissuti alla Shoah che tra il 1945 e il 1948 passarono sul suolo italiano in cerca di una nuova vita  potete leggere il testo gentilmente inviatoci da Marco Zanetti.

Leggi l’articolo di Marco Zanetti in «Mediterranea», n. 48, anno XVII,aprile 2020.

Archivio PM | Targa commemorativa della Kadima Archivio PM | Kadima

cognomi prevalenti a San Pietro in Volta sono due: Ballarin e Ghezzo. Loriano Ballarin ne analizza la presenza nel territorio, le origini, i ‘detti’ attraverso documenti dell’Archivio parrocchiale.

Leggi l’articolo di Loriano Ballarin in «Chioggia. Rivista di studi e ricerche», n. 47, ottobre 2015.

Il luogo è a noi noto: la laguna davanti al Porto di Malamocco. Anche il battello a togna ci è noto. Settecenteschi altri particolari: il pielego (imbarcazione), i degani (‘delegati’ in isola della Podestaria di Chioggia, di cui Pellestrina faceva parte), l’ira dei pescatori, armati di fiocine e schioppi.

Un interessante documento dell’Archivio di Stato di Venezia pubblicato dal nostro Loriano (Tiziano) Ballarin.

Leggi l’articolo di Loriano Ballarin in «Chioggia. Rivista di studi e ricerche», n. 45, ottobre 2014.

Un libro nel cestino della bici: nell’estate 2012 Giannarosa Vivian fa una gita a Ca’ Roman, l’oasi naturalistica all’estremità sud dell’isola di Pellestrina, usando come guida per la sua escursione una breve storia del villaggio marino sorto in una parte dell’area a inizio Novecento, pubblicata verso la fine degli anni Sessanta e praticamente introvabile. 

Leggi l’articolo di Giannarosa Vivian nel sito di storiAmestre.

Attraverso la lettura dei registri delle nascite dell’Archivio parrocchiale, incrociata con lo studio delle contemporanee ricerche demografiche, si ricostruisce l’intreccio tra attività della pesca, concepimento e nascite a San Pietro in Volta nel Seicento.

Leggi l’articolo di Miro Tasso, Gian Umberto Caravello e Loriano Ballarin in «Chioggia. Rivista di studi e ricerche», n. 33, ottobre 2008.

cognomi, così come li conosciamo, affondano le loro radici nel Medioevo. Lungi dall’essere stati strutture statiche e fissate irrevocabilmente, fino a tutto il ‘700 hanno goduto di ampia libertà: sono stati declinati a seconda del genere, soppiantati a favore di altri più consoni, nati ex novo.

Nell’isola di Pellestrina lo studio dei cognomi assume un significato particolare legato proprio all’insularità che, ieri come oggi, ha limitato e limita molto gli spostamenti di cose e persone. Lo studio dei cognomi in epoche passate offre, infatti, la possibilità di “fotografare” le comunità e di seguirne l’evoluzione.

La ricerca presentata, che deriva da uno studio condotto sui registri secenteschi della parrocchia di San Pietro in Volta, fa proprio questo: contribuisce a delineare una comunità del passato, offrendo alcuni elementi per comprenderne la sua evoluzione sino ad oggi.

Leggi l’articolo di Miro Tasso, Gian Umberto Caravello e Loriano Ballarin in «Rivista Italiana di Onomastica», vol. XIV, n. 1, 2008.

Come le altre isole del litorale veneziano, anche Pellestrina si caratterizzava, un tempo, per l’abbondanza di orti a gestione familiare, che assicuravano il sostentamento quotidiano della Dominante. Molti di coloro che hanno vissuto le trasformazioni urbanistiche a cavallo tra gli anni ’50 ed ’70 del secolo scorso ricorderanno – a volte con nostalgia – gli orti ordinati e tenacemente curati da instancabili ortolani capaci di far produrre a terre sferzate dal vento e intrise di salsedine una quantità straordinaria di primizie.

L’articolo che segue presenta il censimento degli ortolani residenti in Pellestrina nel 1763, documento conservato presso l’Archivio Antico di Chioggia. Pellestrina, infatti, fu parte integrante della Podestaria di Chioggia fino alla caduta della Serenissima: 115 persone per le quali è riportato il cognome e il soprannome. Quest’ultima particolarità rende davvero interessante il documento perché, oltre ad offrirci uno spaccato della società di Pellestrina alla fine del ‘700, offre lo spunto per ulteriori indagini sull’evoluzione delle famiglie e dei loro soprannomi.

Leggi l’articolo di Loriano Ballarin in «Chioggia. Rivista di studi e ricerche», 2007.

Attraverso la lettura dei registri matrimoniali dell’Archivio parrocchiale, assieme a notizie di carattere statistico-demografico, Loriano Ballarin ricostruisce il quadro delle modalità di celebrazione del matrimonio a San Pietro in Volta nel Seicento, caratterizzata dalla persistenza della presenza di due momenti distinti e separati cronologicamente: sponsali e nozze.

Leggi l’articolo di Loriano Ballarin in «Chioggia. Rivista di studi e ricerche», 31 ottobre 2007.

Documento (1175), Archivio di Stato di VeneziaGli archivi, a saperli interrogare, regalano sprazzi di vita pulsante, che popolano a ritroso nel tempo i luoghi nei quali viviamo, ricordandoci che la nostra vita − i nostri nomi, i nostri luoghi, le nostre abitudini, la nostra cultura − è la risultante di altre vite e altre storieTestimonianza preziosa di tutto questo è la tesi di laurea di Jacopo Berto, il cui titolo è Le pergamene di San Giorgio Maggiore relative a Pellestrina, 1201-1285 (relatore professor Marco Pozza, anno accademico 2003-2004).

Leggi il documento di Rossella Favero in «Dodicesimo Premio Biennale “Murazzo” di poesia in dialetto veneto», 20 maggio 2006.

Il recupero di rifiuti per la concimazione è un’antica tradizione nelle colture delle isole della laguna di Venezia.

Leggi l’articolo di Loriano Ballarin in «Fertilizzanti», n. 2, 2003.

All’inizio del 1797 Pellestrina fa parte della Repubblica ed è soggetta alla podesteria di Chioggia; dal 1806 è invece comune autonomo (e lo sarà fino al 1923).

Cosa è accaduto tra le due comunità di Chioggia e Pellestrina? Chi sono i ‘novatori’ di Pellestrina? E di quale abuso si sono macchiati?

Leggi il documento di Rossella Favero in «Settimo Premio Biennale “Murazzo” di poesia in dialetto veneto», 9 giugno 1996.

“Aspetti della società di Pellestrina nella seconda metà del XVIII secolo attraverso le carte della giustizia penale” è il titolo della tesi di Mariavittoria Tagliapietra. È la prima volta che un isolano si accosta ai documenti racchiusi nell’Archivio Antico di Chioggia per compilare la tesi di laurea.

Leggi il documento di Rossella Favero in «Settimo Premio Biennale “Murazzo” di poesia in dialetto veneto», 9 giugno 1996.

Quello che si propone qui è un duplice ‘assaggio’, sia della vita isolana nel Settecento che della ricchezza dei materiali che l’Archivio Antico di Chioggia racchiude.

Dalle scritture pubbliche (atti del Podestà, sentenze, proclami, ordini e divieti) filtra la vita in ogni suo aspetto: sociale, economico, religioso, anche personale. Si può misurare ciò che la storia ha spazzato via e ciò che caparbiamente permane, la ‘lunga durata’ di alcuni elementi, ancora costitutivi dell’identità della comunità.

Leggi il documento di Rossella Favero in «Sesto Premio “Murazzo” di poesia in dialetto veneto», 5 giugno 1994.

Blasone Veneto con leone rosso

Nel 1985 l’A.C.S. Murazzo di Pellestrina pubblicava la notizia del ritrovamento dello stemma di Pellestrina con un leone rosso rampante nel  Blasone Veneto, opera di Vincenzo Coronelli dell’inizio del Settecento.

Nel 1989, Nico e Mattia Sibour Vianello smentivano la notizia, e sottolineavano come la copia del Blasone Veneto, vista dallo storico dilettante pellestrinotto un po’ ingenuamente, fosse stata “abbellita” in epoca posteriore al Settecento da un miniaturista fantasiosoche aveva aggiunto allo stemma vuoto di Pellestrina il leone rosso. I fratelli Sibour aggiungevano: «Per altro, ben difficilmente Pellestrina avrebbe potuto possedere un’arma ai tempi della Serenissima, mancandole lo status giuridico per averne una propria».

Dunque, a quanto pare, Pellestrina, non avendo autonomia di podesteria, non aveva proprio stemma. Solo gli Austriaci, con Francesco Giuseppe, concessero all’isola lo stemma con i sestieri che tutti a Pellestrina  conoscono.

Leggi il documento di Naldino Scarpa Perla in «Secondo Premio Biennale “Murazzo” di poesia in dialetto veneto», 12 ottobre 1985.

Leggi l’articolo di Nico e Mattia Sibour Vianello in «Chioggia. Rivista di studi e ricerche», n. 3, 1989.

tesi di laurea

tesi di laurea

Giada Irene

Editore: Università degli Studi di Padova
Anno accademico: 2018-2019

L’isola di Pellestrina si presenta a prima vista come un isolato demografico: separata dal resto del territorio da due bocche di porto, gode tuttavia di un efficiente sistema di collegamento con le altre isole e la terraferma. Nonostante tale avanguardia, che può essere associata alla possibilità di spostarsi, la scelta del coniuge da parte degli abitanti di Pellestrina tende a ricadere sempre tra gli stessi residenti.

Risulta curioso capire perché ciò avviene, e nello specifico conoscere le cause che possono condizionare la scelta del partner e se le diverse generazioni di residenti dell’isola mostrino percorsi matrimoniali diversificati.

La ricerca è stata realizzata attraverso una serie di interviste semi-strutturate rivolte a venti coppie sposate o conviventi residenti nell’isola di Pellestrina (di età compresa tra 35 e 56 anni).

Leggi la tesi di laurea di Irene Giada.

Scarpa Andrea

Editore: Università degli Studi di Padova
Anno accademico: 2017-2018

Nel vasto scenario dei dialetti italiani, il veneto ha sempre goduto di ampia considerazione ed attenzione da parte degli studiosi. Le ragioni dietro tale interesse sono molteplici, dal ruolo storico della Serenissima, di cui era lingua ufficiale, alla prestigiosa produzione letteraria, ma soprattutto, ciò che spicca è la sua peculiare realtà sociolinguistica. Il Veneto, infatti, presenta un tasso di dialettofonia tra i più alti nel Paese, superiore al 70%: ciò dimostra quanto in tale regione il dialetto sia tuttora una realtà viva e imperante

Tale vitalità è dovuta principalmente al tardo avvento dell’urbanizzazione e dello sviluppo economico, con conseguente sopravvivenza di nette varietà dialettali marcatamente distinte tra loro. Si identificano cinque gruppi principali: il veneto lagunare (veneziano), il veneto centrale (padovano-vicentino-polesano), il veneto occidentale (veronese), il veneto settentrionale (trevigiano-feltrino-bellunese) ed infine i dialetti ladini (comelicano-cadorino-livinallese). 

La frammentazione delle diverse parlate procede poi in un livello più profondo, in cui si possono rilevare notevoli differenze pur tra dialetti appartenenti ad uno stesso gruppo. In questo contesto il dialetto di Chioggia rappresenta una situazione alquanto interessante. 

Uno degli aspetti più singolari del dialetto di Chioggia è la sua forte matrice conservativa, la quale è da ricondursi all’antica condizione di isolamento geografico della città. In quest’ottica si può osservare come alcune delle forme più tipiche di questo dialetto siano in realtà retaggi di un veneziano arcaico, evolutosi poi in patria, ma qui conservatosi.

Leggi la tesi di laurea di Andrea Scarpa.

Giada Irene

Editore: Università degli Studi di Padova
Anno accademico: 2018-2019

L’isola di Pellestrina si presenta a prima vista come un isolato demografico: separata dal resto del territorio da due bocche di porto, gode tuttavia di un efficiente sistema di collegamento con le altre isole e la terraferma. Nonostante tale avanguardia, che può essere associata alla possibilità di spostarsi, la scelta del coniuge da parte degli abitanti di Pellestrina tende a ricadere sempre tra gli stessi residenti.

Risulta curioso capire perché ciò avviene, e nello specifico conoscere le cause che possono condizionare la scelta del partner e se le diverse generazioni di residenti dell’isola mostrino percorsi matrimoniali diversificati.

La ricerca è stata realizzata attraverso una serie di interviste semi-strutturate rivolte a venti coppie sposate o conviventi residenti nell’isola di Pellestrina (di età compresa tra 35 e 56 anni).

Leggi la tesi di laurea di Irene Giada.

Scarpa Andrea

Editore: Università degli Studi di Padova
Anno accademico: 2017-2018

Nel vasto scenario dei dialetti italiani, il veneto ha sempre goduto di ampia considerazione ed attenzione da parte degli studiosi. Le ragioni dietro tale interesse sono molteplici, dal ruolo storico della Serenissima, di cui era lingua ufficiale, alla prestigiosa produzione letteraria, ma soprattutto, ciò che spicca è la sua peculiare realtà sociolinguistica. Il Veneto, infatti, presenta un tasso di dialettofonia tra i più alti nel Paese, superiore al 70%: ciò dimostra quanto in tale regione il dialetto sia tuttora una realtà viva e imperante

Tale vitalità è dovuta principalmente al tardo avvento dell’urbanizzazione e dello sviluppo economico, con conseguente sopravvivenza di nette varietà dialettali marcatamente distinte tra loro. Si identificano cinque gruppi principali: il veneto lagunare (veneziano), il veneto centrale (padovano-vicentino-polesano), il veneto occidentale (veronese), il veneto settentrionale (trevigiano-feltrino-bellunese) ed infine i dialetti ladini (comelicano-cadorino-livinallese). 

La frammentazione delle diverse parlate procede poi in un livello più profondo, in cui si possono rilevare notevoli differenze pur tra dialetti appartenenti ad uno stesso gruppo. In questo contesto il dialetto di Chioggia rappresenta una situazione alquanto interessante. 

Uno degli aspetti più singolari del dialetto di Chioggia è la sua forte matrice conservativa, la quale è da ricondursi all’antica condizione di isolamento geografico della città. In quest’ottica si può osservare come alcune delle forme più tipiche di questo dialetto siano in realtà retaggi di un veneziano arcaico, evolutosi poi in patria, ma qui conservatosi.

Leggi la tesi di laurea di Andrea Scarpa.

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